Le organizzazioni sanitarie hanno oggi database di ingenti dimensioni, contenenti dati clinici, biologici, epidemiologici ed amministrativi. Attraverso l’Intelligenza Artificiale si possono quindi analizzare ed interpretare i dati disponibili per rivolgersi alla “gestione complessiva del benessere degli individui”, attuando il concetto della medicina delle 4P: Prevenzione, Predizione, Personalizzazione e Partecipazione, coniato dallo scienziato Leroy Hood. L’utilizzo dei Big Data e AI nella medicina delle 4P porterà vantaggi ma ci sono alcuni aspetti che andranno gestiti perché questo si realizzi, tra le principali sfide:
I Big Data forniscono, con bassi costi e facile accessibilità, dati meno puliti di quelli raccolti negli Studi Clinici ma su tutta la popolazione e non su piccoli campioni. I dati devono però a) essere realmente rappresentativi di una popolazione e non di una sottopopolazione; b) garantire la qualità della imputazione e della codificazione; c) essere precisi ed inequivocabili. La disponibilità di dati clinici informatizzati è ancora largamente incompleta occorre a) ridurre l’uso della “carta” ancora largamente in uso; b) far dialogare i database di raccolta dati utilizzati all’interno di stesse realtà (es. AO, ASL, etc.). I dati di input per attivare meccanismi di Intelligenza Artificiale (es. algoritmi predittivi, etc.) devono essere univoci e precisi o viene influenzato il risultato prodotto. La qualità dei dati per l’utilizzo in sistemi di AI deve essere validata (es. attraverso strumenti di raccolta certificati). L’utilizzo dei Big Dati pone dei problemi legati al rispetto della privacy: l’innovazione non può erodere il diritto alla privacy assicurato dalla legge, ma al contempo vanno meglio identificate le situazioni normative per utilizzare i Big Data nella medicina. L’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nei processi decisionali e di interazione con il paziente è di solito percepito come ciò che più direttamente impatta sulla professione medica. E’ basilare, tanto dal punto di vista operativo quanto da quello etico, che l’intelligenza artificiale non vada a sostituirsi al medico, a cui continuerà a competere la parte decisionale ma lo affianchi e lo supporti nelle scelte decisionali. Serve quindi formare gli operatori sanitari ad un corretto utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Gli algoritmi sviluppati con l’Intelligenza Artificiale sui Big Data potrebbero rispecchiare pregiudizi umani nelle scelte decisionali, perseguire obiettivi non etici quali guidare verso pratiche che soddisfano più gli obiettivi amministrativi della reale qualità della cura, etc. Occorre quindi creare linee guide etiche per l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel campo medico.
Sono sempre più numerose e accurate le applicazioni dell’intelligenza artificiale nel percorso di cura del paziente. Tra i filoni principali c’è anzitutto quello del monitoraggio, oggi possibile anche da remoto con la telemedicina. Poi la predizione degli esiti possibili – di un trattamento, di un intervento chirurgico, di un quadro clinico complesso – e la diagnosi, per ambiti che spaziano dai tumori alla radiologia, dalle malattie della pelle al diabete. Ma l’ampiezza delle applicazioni è tale che spesso è difficile perfino darne conto. Solo per l’oncologia, per esempio, l’Intelligenza Artificiale non si limita a supportare la fase diagnostica – tanto allo stadio precoce quanto in quelli di progressione della malattia, con un’accuratezza che ad esempio per il tumore al seno ha già raggiunto il 99% – ma può contribuire anche nella fase di trattamento con l’indicazione di dosi e terapie, oppure negli interventi con la chirurgia robotica di precisione, poi nella gestione dei dati clinici per individuare la strategia più promettente e più in generale in tutto il processo decisionale e nel rapporto con il paziente tramite forme evolute di intelligenza emotiva.
I Big Data e l’Intelligenza Artificiale possono avere un impatto positivo in medicina, soprattutto nella medicina delle 4P. Occorre però affrontare delle sfide perché Big Data e AI siano realmente al servizio della medicina, quali un ampliamento della raccolta dati, una loro validazione, una diversa gestione della privacy. Fondamentale poi rimane il ruolo del medico, e in generale degli operatori sanitari: in quanto strumento funzionante su base statistica e privo di autocoscienza e di capacità di ragionamento, l’Intelligenza Artificiale può senz’altro essere di grande aiuto nella gestione di un caso clinico, ma non può avere in mano le redini né avere la responsabilità di ciò che sta suggerendo. Sarà fondamentale la capacità del decisore in carne e ossa di non limitarsi ad accettare ciò che l’algoritmo indica, ma di sfruttare l’intelligenza artificiale come un suggerimento da cui partire per compiere le scelte effettive. Insomma, la parola finale spetterà sempre al cervello umano.